STRAINING sul Lavoro: Quando Scatta l’Obbligo Di Risarcimento?

Oggi cresce sempre più l’interesse per la tutela della salute (fisica e psicofisica) del lavoratore e, pertanto, diviene un’esigenza, anche ai fini giuridici, focalizzare l’attenzione sulle problematiche che frequentemente emergono negli ambienti lavorativi. 

Partiamo dal dato normativo.

L’art. 2087 c.c. prevede espressamente che “L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.”

Tale disposizione ha rappresentato il referente centrale del famoso dibattito sul c.d. « mobbing», ovvero tutte quelle azioni e quei comportamenti intimidatori ed ostili di cui il lavoratore viene fatto ripetutamente oggetto nell’ambiente di lavoro da parte del datore di lavoro, dei propri superiori o dei colleghi.

Di recente, la giurisprudenza ha riconosciuto una nuova fattispecie contigua al mobbing, definita Straining, per indicare una situazione di stress forzato sul posto di lavoro che la vittima (il lavoratore) subisce da parte dell’aggressore (lo strainer) che solitamente è un superiore; si richiede almeno un’ azione ostile e stressante, i cui effetti negativi sono di durata costante nel tempo (si pensi, ad esempio, al demansionamento, alla dequalificazione, all’isolamento o alla privazione degli strumenti di lavoro: si tratta di situazioni stressanti per il lavoratore, che possono anche causare un danno).

Lo Straining, dunque, si distingue dal mobbing per l’assenza di continuità nelle azioni vessatorie. In tal caso, il peggioramento delle condizioni lavorative, seppur permanente, sarebbe riconducibile a provvedimenti o comportamenti isolati del datore di lavoro, idonei a cagionare una perdurante modificazione della situazione professionale del lavoratore, idonea a ripercuotersi sulle sue condizioni psico-fisiche e relazionali.

Di recente, la Suprema Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi sul tema mobbing/Straining, statuendo che: “Al di là della tassonomia e della qualificazione come mobbing e stretching , quello che conta in questa materia è che il fatto commesso, anche isolatamente, sia un fatto illecito ex art. 2087 cc da cui sia derivata la violazione di interessi protetti del lavoratore al più elevato livello dell’ordinamento (la sua integrità psicofisica, la dignità, l’identità personale, la partecipazione alla vita sociale e politica) (Cassazione civile, Sez. lav . , ordinanza 19 ottobre 2023, n.29101).

I Giudici di Legittimità hanno, pertanto, ribadito che anche una sola condotta, isolata e non ripetuta nel tempo, può comportare violazione dell’art. 2087 c.c. e, conseguentemente, fondare una richiesta risarcitoria.

La reiterazione, l’intensità del dolo, o altre qualificazioni della condotta sono elementi che possono incidere eventualmente sul quantum del risarcimento.

Sicchè, se viene accertato lo straining e non il mobbing, la domanda di risarcimento del danno del lavoratore deve essere accolta .

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