Nel nostro ordinamento, la tutela della salute del lavoratore è considerata nel suo significato più ampio di tutela dell’integrità della persona, in tutti i suoi aspetti , sia quelli concernenti il benessere fisico sia quelli concernenti la dignità, la vita di relazione e l’equilibrio psicofisico.
L’art. 2087 c.c., infatti, prevede espressamente che “L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”.
Secondo un interpretazione costituzionalmente orientata della succitata norma vi è completa identificazione tra il concetto di integrità fisica (che ricomprende al suo interno anche l’integrità psichica) ed il concetto di salute; con la conseguenza che il datore di lavoro è obbligato ad attivarsi tutte le volte in cui tale integrità sia compromessa, anche per effetto della condotta di altri dipendenti.
Pertanto, anche in assenza di mobbing, il datore di lavoro può essere chiamato a rispondere dei danni cagionati al lavoratore da altri colleghi sulla base del precetto generale di cui all’art. 2087 c.c. (si veda in proposito Cass. civ., Sez. Lav. , 18927/2012 in motivazione secondo cui anche le diverse condotte denunciate dal lavoratore non si ricompongano in un unicum e non risultano, pertanto , complessivamente e cumulativamente idonee a destabilizzare l’equilibrio psico-fisico del lavoratore o a mortificare la sua dignità, ciò non esclude che tali condotte o alcune di esse, ancorché finalisticamente non accumunate, possano risultare, se esaminate separatamente e distintamente, lesive dei fondamentali diritti del lavoratore, costituzionalmente tutelati”).
Il Tribunale di Bari, Sez. lav., con la sentenza 17 gennaio 2023, n. 97, ha disposto che il datore di lavoro deve tutelare l’integrità fisica e la personalità morale del lavoratore ex art. 2087 c.c., rimuovendo le conseguenze lesive delle condotte vessatorie messe in atto tra colleghi o, quantomeno, impedendo che analoghe situazioni si verifichino nuovamente in futuro, anche quando non vi è mobbing (si veda, in conformità al principio appena esposto, quanto argomentato da Cass. civ., Sez. Lav., 10037/2015 nonché da Cass. civ., Sez. Lav., 7097/2018 che peraltro parla anche della conseguente possibilità di rivalsa del datore nei confronti dei dipendenti autori di siffatte condotte).
In conclusione: il nostro ordinamento punisce e condanna l’inerzia colpevole del datore di lavoro nella rimozione del fatto lesivo sulla base delle tutele previste dall’ art. 2087 cc. Tuttavia, non vale ad escludere la responsabilità del datore di lavoro la circostanza per cui le condotte illecite siano state poste in essere da altro dipendente: ciò che rileva è l’omissione delle tutele previste dalla legge da parte del soggetto deputato ad attivare gli obblighi di protezione normativa previsto.