Con tre distinti provvedimenti (n. 163 , 164 e 165 del 27 aprile 2023, resi noti con comunicato del 22 giugno 2023), il Garante per la protezione dei dati personali interviene sul noto caso del Cimitero Flaminio di Roma, sanzionando, per 176.000,00 euro Roma Capitale e per 239.000,00 euro Ama, società in-house affidataria della gestione dei servizi cimiteriali, per la diffusione, tramite targhette sulle sepolture dei feti, di dati e informazioni relative a donne che avevano interrotto la gravidanza, ed ha, infine, ammonito l’ASL Roma 1.
A seguito di numerose notizie stampa, infatti, si era appreso che, presso il cimitero Flaminio di Roma Capitale – gestito dall’Azienda Municipale Ambiente S.p.a. (di seguito Ama S.p.a.), società con socio unico Roma Capitale -, si trovavano centinaia di croci bianche sopra piccole sepolture relative a prodotti abortivi, sulle quali erano apposte delle etichette riportanti le generalità delle donne che avevano interrotto una gravidanza e una data (cfr. XX, https://…; XX, https://…).
Sulla base degli elementi acquisiti a seguito della complessa attività istruttoria condotta dal Garante della Privacy – che ha coinvolto sia Ama S.p.a. che Roma Capitale – quest’ultima in qualità di titolare del trattamento ha una responsabilità generale anche per i trattamenti posti in essere per il tramite del Responsabile (nel caso di specie, Ama s.p.a.) – risulta accertato che la diffusione dei dati delle donne indicati sulle targhette apposte sulle sepolture dei feti è stata effettuata in violazione della disciplina in materia di protezione dei dati personali.
La diffusione illecita dei dati delle donne che hanno abortito riguarda unicamente i casi in cui la sepoltura non è avvenuta su richiesta delle stesse donne o dei familiari, ma su richiesta della stessa Asl competente.
In tali casi la sepoltura è stata effettuata “in fosse singole, contraddistinte […] da una croce in legno ed una targa su cui è riportato comunemente il nome della madre o il numero di registrazione dell’arrivo al cimitero, se richiesto espressamente dai familiari” (https://…).
Si tratta proprio dei casi in cui – verosimilmente anche a causa di un’informazione carente da parte delle strutture sanitarie – le donne interessate non sono state messe a conoscenza del fatto che, anche nel caso in cui si scelga di non effettuare la sepoltura del feto, questa avviene, comunque, su impulso della Asl.
Paradossalmente, la possibilità di indicare “il numero di registrazione dell’arrivo al cimitero”, anziché le generalità della donna, è prevista solo “se richiesto espressamente dai familiari”, richiesta che però difficilmente può essere presentata in assenza di un’adeguata informazione.
Inoltre, si rileva che l’art. 70 del d.P.R. 285/1990 richiede che siano indicati sul cippo i “dati del defunto”, nei casi previsti dall’art. 7, fatti salvi i casi dei “nati morti” -per i quali l’autorizzazione alla sepoltura è rilasciata dall’ufficiale dello stato civile previa registrazione nei relativi registri -, nella documentazione trasmessa dalla Asl, trattandosi di prodotti abortivi o del concepimento, non sono presenti dati assimilabili ai “dati del defunto”.
Tuttavia, la norma sopra citata, nell’indicare gli elementi da riportare sulla targhetta del cippo funerario, non prevede il trattamento di dati personali di persone in vita; la loro indicazione in tale contesto- tale dovendosi considerare il dato della donna – oltre che non desumibile dalla predetta disposizione, appare, secondo il Garante, incongrua e non corretta.
Infine, si osserva che i dati contenuti nella documentazione trasmessa dalle Asl rientrano tra le categorie particolari di dati che sono assistiti da un regime di maggiore garanzia.
In quanto dati relativi alla salute, per effetto di quanto previsto dell’art. 9, par. 4, del Regolamento, e dell’art. 2-septies, comma 8, del Codice, sono oggetto di uno specifico divieto di diffusione.
Si richiama, altresì, il regime di particolare riservatezza previsto dalla legge n. 194 del 1978 (legge sull’aborto) per i dati delle donne che hanno fatto ricorso all’interruzione volontaria di gravidanza.
Oltre alla sanzione penale, prevista per chi, essendone venuto a conoscenza per ragioni di professione o di ufficio, rivela l’identità – o comunque divulga notizie idonee a rilevarla – di chi ha fatto ricorso alle procedure o agli interventi previsti dalla legge (art . 21), l’identità della donna è particolarmente protette in diverse disposizioni normative che prevedono, dunque, una tutela rafforzata per il trattamento dei dati relativi alle donne che hanno effettuato una interruzione di gravidanza.
Alla luce di quanto sin qui esposto, a seguito delle ingenti sanzioni comminati dal Garante con i provvedimenti sopra citati, Roma Capitale è ora intervenuta sul regolamento di polizia cimiteriale, introducendo un regime di maggior tutela della privacy, dell’anonimato e della libertà religiosa, con la previsione di una possibilità di scelta su quale sepoltura dare al feto .