Il “LIVELLO”: la sua esistenza va accertata attraverso il titolo costitutivo del diritto

Con la sentenza n. 30823 del 06 Novembre 2023, la Corte di Cassazione si è occupata del livello, istituto giuridico poco conosciuto e privo di una definizione normativa.

Il termine “livello”, derivante da libellus – la scrittura in doppio originale (duo libelli pari tenore conscripti) con cui veniva stipulato il contratto costitutivo del diritto e nel quale venivano documentati gli obblighi delle parti – designa un contratto conosciuto già nel tardo diritto romano e molto diffuso nel medioevo e fino alle soglie dell’età contemporanea, avente ad oggetto il possesso e lo sfruttamento, generalmente con clausole di miglioria, di fondi rustici, o anche urbani.

Con l’entrata in vigore dei codici del 1865 e del 1942, i vari rapporti di tipo agrario (livelli, censi ed enfiteusi) hanno perso definitivamente la loro identità e hanno ricevuto una disciplina unitaria, che ha finito per identificarli con l’enfiteusi (ad esempio, il R.D. 1539/1933 all’art. 55 considera unitamente l’enfiteuta e il livellario. Allo stesso modo, le figure dell’enfiteuta e del livellario vengono equiparate dall’art. 29 del R.D. 2153/1938).

Nel corso dei secoli, dunque, si è verificata una totale fusione  tra i due istituti (livello ed enfiteusi) con la conseguente estensione, in maniera diretta ed analogica, ai livelli della disciplina e della normativa prevista per l’enfiteusi dal codice civile e dalle varie leggi speciali che si sono succedute nel tempo.

Tale fenomeno ha trovato anche nella giurisprudenza che, più volte, ha ribadito che  il “livello” si identifica in un diritto reale di godimento assimilabile all’enfiteusi (cfr. Cass. 1366/1961, Cass. 1682/1963, Cass. 64/1997, Cass. 23752/2011, Cass. 9135/2012, Cass. 3689/2018).

Anche la Corte Costituzionale, con sentenza del 9.7.1959, n. 46, ha affermato che l’istituto del livello è stato dal legislatore considerato nella sua autonomia e disciplinato con criteri autonomi, che in parte coincidono ed in parte contrastano con la disciplina giuridica dell’enfiteusi e degli istituti similari.

La Corte di legittimità ha, però, affermato che i livelli erano soggetti alla disciplina del contratto enfiteutico vero e proprio perché il livello non corrisponde nel diritto positivo vigente – e del resto non corrispondeva neppure nel passato – ad un istituto giuridico che presentasse una sua autonomia giuridica rispetto all’enfiteusi.

Con il contratto di livello, il concedente si obbligava a mantenere il livellario nella concessione senza, in tanti casi, pretendere un corrispettivo (detto censo, spesso in natura o in denaro) o pretendendo un corrispettivo simbolico (censo livellare). Il livellario, titolare di un diritto reale di godimento, era tenuto a curare e migliorare le terre. Il diritto del livellario era estremamente ampio, poiché poteva compiere ogni attività sul terreno, anche alienarlo o assoggettarlo a servitù, fermo restando il diritto di prelazione del concedente.

Quanto all’accertamento del diritto, risulta essenziale l’esame dell’atto costitutivo al fine di verificare:

-l’effettiva natura del contratto e le obbligazioni poste a carico del concedente e del livellario/enfiteuta (in quanto non può considerarsi enfiteusi il contratto che, oltre a non prevedere l’obbligo di miglioramenti, rechi una destinazione del fondo oggettivamente incompatibile con ogni successiva miglioria – cfr. Cass. 10646/1994);

-se il contratto prevede un termine oppure no, integrando, in quest’ultimo caso, una colonia perpetua (Cass., Sez. III, 15.6.1985, n. 3601);

-l’effettiva inclusione del fondo tra quelli indicati nell’atto costitutivo;

-la prova di essere successore, a titolo universale o particolare, del concedente (in alternativa un atto di ricognizione).

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 30823/2023, si è uniformata all’orientamento di legittimità (Cass. civ. n. 9096/1991) secondo il quale, poiché il catasto è preordinato a fini essenzialmente fiscali, il diritto di proprietà, al pari degli altri diritti reali, non può – in assenza di altri e più qualificanti elementi ed in considerazione del rigore formale prescritto per tali diritti – essere provato in base alla mera annotazione di dati nei registri catastali, che hanno, soltanto in concrete circostanze, il valore di semplici indizi.

Pertanto, le mappe catastali non hanno rilievo decisivo in materia di rivendica o di accertamento della proprietà e non dispensano dall’onere di fornire la dimostrazione del titolo da cui si assume derivare il diritto reale (Cass. civ. n. 3398/1984).

Pertanto, con la succitata sentenza, la Suprema Corte ha pronunciato il seguente principio di diritto:

Il regime giuridico del livello va assimilato a quello dell’enfiteusi, in quanto i due istituti, pur se originariamente distinti, finirono in prosieguo per confondersi ed unificarsi, dovendosi, pertanto, ricomprendere anche il primo, al pari della seconda, tra i diritti reali di godimento. L’esistenza del livello deve essere accertata mediante il titolo costitutivo del diritto o l’atto di ricognizione, mentre deve escludersi rilievo ai dati catastali“.

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